Tevez: “Boca la mia famiglia, tornare sarebbe un sogno”

El Pais ha intervistato Carlitos Tevez. Ecco qualche highlight delle sue dichiarazioni tratte da tuttojuve.com:

“Io da piccolo giocavo con i sassolini, una specie di biglie. Non ho mai collezionato figurine di calciatori perchè ero molto povero e non potevo permettermele. A chi mi ispiravo? Come tutti gli argentini, amavo Diego (Maradona) però è impossibile essere uguale a Dio e quindi mi piaceva molto Batistuta, decisamente più avvicinabile. Se l’ho visto di recente? Si, ha problemi alle caviglie ed anche al ginocchio, per via delle infiltrazioni subite quando giocava a calcio; allora erano dannose. Il tatuaggio sulla spalla? E’ la resurrezione dei morti. Quando andai in Vaticano per vedere Papa Francesco, la prima cosa – ha dichiarato – che vidi entrando nella Cappella Sistina, fu quell’affresco. Mi impressionò molto. La resurrezione dei morti, poi, l’ho rivisto nel libro sul Vaticano che comprai e fu in quel momento che mi dissi: Me lo tatuo sulla spalla. Ho impiegato un anno per farmelo completare, ed ho sentito anche tanto dolore. Impressionato dal Vaticano? Beh, c’ero stato già tante volte, tuttavia l’ultima fu speciale perchè conobbi Papa Francesco. E’ una persona semplice, ero nervoso ma lui mi mise a mio agio dopo solo due parole. Cosa vedo se mi guardo indietro? Io guardo sempre avanti. Il passato mi è costato molto ma mi ha anche dato tanta forza per proseguire sul mio cammino; se guardo indietro, vedo tante cose non belle. Ora, però, penso al mio prossimo obiettivo. E’ quello di vincere il campionato con la Juve ed arrivare il più avanti possibile in Champions. Non cambierei la mia infanzia per nulla al Mondo. Mi è servita per diventare una persona giusta e conoscere i veri valori della vita. Da piccolo avevo paura di essere rapito; Vivevo in un barrio dove la delinquenza e la droga erano all’ordine del giorno ed ho sempre avuto massimo rispetto della polizia. Cosa mi ha insegnato la strada? Il codice della strada; mi ha insegnato ad essere uomo. La scuola mi ha insegnato davvero poco, a differenza – ha affermato – della strada. In quale paese è difficile essere attaccante? Italia. In serie A le squadre puntano molto sulla tatttica, hanno difese molto chiuse, con cinque uomini o di più. In Inghilterra è difficile vedere una difesa a cinque, lo stesso vale per la Spagna. Qui è normale, è davvero complicato riuscire a segnare. Come si riesce a superare le difese avversarie? Bisogna stare bene fisicamenteed usare la testa.  La Juve è la mia seconda casa. Mi hanno sempre trattato benissimo, dal presidente a quello meno importante, mi hanno fatto sempre essere felice. Ed io voglio devolvere in campo tutto il bene che ho ricevuto. Sto facendo bene, mi sento in forma e si vede dai movimenti che faccio in campo. La maglia di Del Piero? Si, pesa ma non particolarmente per me, perchè mi sono sempre sentito a casa qui. In Inghilterra, con lo United, ho provato poco questa sensazione, perchè c’erano tanti calciatori. Con il City, si. Quando litigai con Mancini a Manchester, pensai anche a lasciare il calcio, mi disse che non avrei giocato più con il City e così fu. Non vivetti bene quei sei mesi. In Italia sono maturato molto e sono diventato più prpofessionale e goleador. Con Allegri, rispetto a Conte, ho più liberta di movimento; con il precedente allenatore – ha ricordato – giocavamo con due punte molto bloccate tra di loro e non lontane, mentre con Allegri dobbiamo avere una posizione fissa solo in fase passiva, ma siamo più liberi di agire in attacco, giocare come preferiamo. Conte era più esigente, era un vincente. Non potevi rilassarti un secondo con lui, ne durante l’allenamento tantomeno durante una partita. Vincere e basta, per lui non esisteva altro. Allegri è più rilassato, ci concede delle pause – ha ammesso – soprattutto dopo una vittoria. Conte, dopo una vittoria, pensava già alla gara successiva. Se sono migliorato rispetto ai miei 23 anni? Sono un giocatore diverso; prima giocavo in velocità a saltare l’uomo, sullo stile del gol che segnai contro il Parma, oggi, invece, gioco più a calcio. Se la Serie A è poco competitiva, perciò soffriamo in Europa? No, abbiamo pareggiato contro i penultimi in classifica. Il campionato italiano è duro, non è facile per noi vincere le partite. Si chiudono molto gli avversari in difesa, ed è davvero complicato segnare. Quest’anno, rispetto all’anno scorso, in Champions – ha sostenuto – giochiamo diversamente; mentalmente e fisicamente siamo preparati. La squadra è pronta per giocare contor chiunque. Cosa temo del Borussia? E’ un gruppo che ha esperienza, conosce bene questo tipo di situazioni e sa bene come giocare queste partite. Adattarmi in Italia è stato difficile soprattutto per quanto riguarda gli allenamenti; sono molto differenti rispetto all’Inghilterra, Brasile e Argentina. Sono molto professionali in Italia, vivono per il calcio. In Inghilterra alle 12 già stavo a casa. Stacco dal calcio giocando a golf oppure passando del tempo con la mia famiglia. Se studio gli avversari? Lo faccio con i video del mister. Di un tecnico – ha sottolineato – mi piace che sia vincente e tenga aspirazioni da campione. Che emozioni mi provoca il calcio? Tutto, allegria, tristezza, odio, rabbia e disperazione. Ho pianto per l’ultima volta quest’estate, quando perdemmo il Mondiale. Giocare con Pirlo è un piacere talmente grande che uno può dire: ho giocato con Pirlo. Paul Scholes, però, è il migliore con cui abbia giocato. Il più divertente nello spogliatoio della Juve? Senza dubbio Simone Pepe, mentre il più serio è Lichtsteiner. Perchè è speciale il Boca? Io sono un tifoso del Boca, tutta la mia famiglia lo è. Sarebbe realizzare un sogno giocare e vincere con quei colori. Il Boca è una passione difficile da spiegare. Ogni domenica è una festa allo stadio, vinca o perda che sia. Qualunque tifoseria, se la squadra gioca male, fischia, invece al Boca no, c’è sempre allegria. Il veto di Messi in nazionale? E’ solo – ha dichiarato – una voce diffusa dai giornalisti. In Argentina parlano molto di Messi o Tévez, dell’uno o dell’altro. Però noi abbiamo un buon rapporto, dentro e fuori dal campo. Messi non ha mai detto a nessun tecnico di non farmi giocare. Se è stato doloroso vedere il Mondiale da fuori? No, perchè non mi sentivo – ha concluso – parte del gruppo; ora, invece, si”.